sabato 18 giugno 2011

Unione dei Comuni del Distretto ceramico: l’intervento di Giulia Pigoni, Presidente del Consiglio dell’Unione

Signor Presidente dell’Unione dei comuni,Gentili sindaci, colleghi consiglieri e consigliere, mi preme innanzitutto ringraziarvi di cuore per la fiducia che mi avete dato nell’affidarmi questo delicato incarico, che cercherò di interpretare nel migliore dei modi, nel massimo rispetto delle opinioni politiche che ognuno di voi esprimerà e cercando di assicurare un dibattito corretto e costruttivo. Essere la prima presidente di questo nuovo consiglio mi riempie d’orgoglio e mi sprona a dare tutta me stessa per svolgere adeguatamente il mio ruolo istituzionale. Voglio ribadire in questa sede ciò che muove il mio impegno politico e che mi auguro possa essere un sentimento condiviso: come mi hanno insegnato i miei genitori, quella che gli elettori ci hanno attribuito è una funzione nobile e difficile, che ci carica di responsabilità pesanti nei confronti di tutti i cittadini, in particolare di quelli che si trovano in situazioni di difficoltà. Ritengo che l’insediamento di questo consiglio rappresenti un passo avanti necessario e significativo nella direzione di una governance di distretto più efficace e coordinata, frutto di uno schietto confronto politico che metta in primo piano – al di là degli schieramenti e delle battaglie di posizione – l’ottimizzazione delle risorse e la qualità dei servizi a beneficio dei cittadini. Come hanno già dichiarato tutti i sindaci, in questo periodo di crisi è infatti indispensabile razionalizzare le spese e incrementare le sinergie. In quest’assemblea, citando una grande politica come Nancy Pelosi, “we may belong to different parties, but we serve one country”. Riponiamo nel cassetto quindi, se possibile, le armi e gli scudi della militanza partitica, per concentrare i nostri sforzi e le nostre energie sull’analisi e lo studio degli atti e delle soluzioni, sull’elaborazione di proposte amministrative, sulla ricerca di una mediazione tra posizioni differenti, nell’interesse esclusivo di questa grande e ricca comunità che rappresentiamo. Bene quindi procedere al rinnovo delle convenzioni (gestione dei servizi telematici; protezione civile, servizi sociali e Ufficio di piano), alla pianificazione di servizi comuni e all’analisi di ulteriori possibili forme di collaborazione. Bene soprattutto cominciare a pensare in termini di unica unità amministrativa, che risponde a un bacino di oltre 100 mila persone e che, quindi, ha le spalle abbastanza larghe per reggere bilanci in contrazione e richieste di servizi in forte aumento. Non abbiate paura di perdere l’identità di paese o di presunte esautorazioni di potere dalle mani delle singole amministrazioni comunali. Si tratta di un’opportunità da affrontare scevri da pregiudizi e timori. Il tema è il buon governo, le risposte concrete da dare ai cittadini. Non è più tempo di battaglie di retroguardia né di difendere interessi minuti. Non è una questione di lotte di gonfalone né di medaglie da appuntarsi al petto. Per questo sono convinta che i temi di confronto e la condivisione di strategie debba coinvolgere quanto prima anche altri aspetti centrali della vita amministrativa dei nostri comuni, a cominciare dal tema del lavoro e del sostegno alle attività economiche, per passare alla promozione del nostro territorio e alla semplificazione burocratica. Voglio sottolineare, prima di concludere, che questo Consiglio non avrà costi per la collettività. Non riceveremo infatti, come prevede lo statuto, alcun gettone di presenza, per testimoniare concretamente che servono sempre più fatti e impegno da parte degli amministratori pubblici, e che nessuno di noi è in cerca di benefici personali o moltiplicatori di poltrone. Da donna, infine, rilevo che il 25% di questo consiglio è rappresentato da donne. Una percentuale significativa (in Parlamento siamo sotto al 20%), anche se più che gioire di questo, possiamo dire: ce lo siamo meritate! E questa percentuale non è ancora, a mio avviso, rappresentativa dell’impegno e del valore delle donne in politica. Concedetemi anche questa piccola annotazione di parte: 6 delle 8 rappresentanti femminili appartengono al Partito Democratico. Un numero elevato, che sottolinea quanto le donne democratiche stiano lavorando duro sia all’interno del partito sia nelle istituzioni. Quest’anno ricorrono i 65 anni dal primo voto alle donne. Ormai si è consolidata l’esperienza di donne capaci e competenti nei governi delle città. E’ bello essere in tante tra questi banchi, ma non dimentichiamoci che il percorso per ottenere una parità vera non si è ancora concluso. Dimostriamo anche in questa sede, con il nostro lavoro e le nostre proposte, che c’è bisogno di più donne nella vita pubblica.


Grazie dell’attenzione, e buon lavoro a tutti.


(Giulia Pigoni, Presidente del Consiglio dell’Unione dei comuni del Distretto ceramico)

venerdì 10 giugno 2011

LIBERIAMO L'ITALIA DAL NUCLEARE

Appello


Il 12 e il 13 giugno liberiamo l’Italia dal nucleare.


Abbiamo tutti l’opportunità di dare al Paese un futuro nuovo.


Il governo teme l’opinione degli italiani e sta facendo di tutto per impedire che si esprimano col referendum. Prima ha negato l’accorpamento con le amministrative (caricando così la spesa pubblica di ben 400 mln di euro), poi con la moratoria-truffa vorrebbe farci credere che il referendum è inutile. Non è così!


Oggi abbiamo la grande occasione di chiudere definitivamente l’avventura nucleare e aprire una nuova stagione energetica.


Noi non abbiamo le risorse finanziarie e mediatiche dei grandi operatori energetici e della lobby nucleare. Non possiamo fare campagne pubblicitarie da milioni di euro. Noi abbiamo due sole grandi forze: i fatti concreti della storia che ci danno ragione – da ultimo il dramma che sta vivendo il Giappone – e il grande numero di persone che non vogliono per sé e per i propri cari un futuro nucleare e che oggi si possono mobilitare strada per strada, sul web, con le radio e le tv locali. Una grande squadra al lavoro in ogni città, in ogni quartiere, in ogni paese per convincere gli italiani ad andare a votare il 12 e 13 giugno per fermare il nucleare.


In queste settimane siamo tutti rimasti sconvolti dal dramma degli abitanti del distretto di Fukushima, costretti ad abbandonare chissà per quanti anni le proprie abitazioni. Per i milioni di cittadini di Tokyo che ancora oggi vivono sotto l’incubo degli effetti nefasti della radioattività, per i valorosi che stanno sacrificando la propria vita per tentare di impedire che il disastro assuma dimensioni catastrofiche. E’ lo stesso copione di Cernobyl, eppure ci troviamo nel Paese più tecnologico del mondo, che comunque non è riuscito a garantire ai propri cittadini la sicurezza dal rischio nucleare. Il motivo è semplice: oggi non esiste tecnologia in grado di farlo.


E il nucleare non è pericoloso solo in caso di incidenti, lo è anche nella gestione ordinaria, come dimostra lo studio epidemiologico fatto realizzare dalla Repubblica Federale Tedesca, che ha verificato un’incidenza di leucemie nei bambini sotto i cinque anni che abitano entro i 5 km dalla centrale di 2,2 volte superiore alla media nazionale.


Ma ciò che è davvero inaccettabile è che il nucleare rappresenta un rischio del tutto inutile. Basti pensare che sommando l’energia elettrica prodotta dal fotovoltaico e dall’eolico dal 2009 al 2011 all’energia risparmiata in questi tre anni grazie alla detrazione fiscale del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici si raggiunge la stessa quantità di energia elettrica che sarebbe prodotta da tre centrali nucleari EPR, come quelle che si vorrebbero costruire in Italia. Se non bastasse, il Paese ha oggi una potenza elettrica installata di più di 110.000 megawatt, mentre il picco di consumi prima della crisi, nel 2007, non ha superato i 57.000 megawatt. Tanto che persino il più grande tifoso del nucleare e persecutore delle rinnovabili, il ministro Romani, è stato costretto ad ammettere che per sosituire l’energia elettrica eventualmente prodotta dalle centrali nucleari italiane basterebbe un po’ di pompaggio nelle centrali idroelettriche esistenti per farle lavorare sempre a pieno regime!


Infine i costi. Molte agenzie private e pubbliche (da Moody’s al Dipartimento Energia dell’Amministrazione USA) dichiarano senza ombra di dubbio che nel 2020 il nucleare sarà la fonte energetica più cara in assoluto!


La vittoria dei Sì all’abrogazione della legge che fa tornare il nucleare in Italia sarebbe un grande segnale anche per l’Europa ed il mondo sviluppato, che dopo il grave disastro di Fukushima si sta seriamente interrogando sul destino del nucleare.


Noi, in Italia, siamo fortunati e avvantaggiati. Perché non abbiamo centrali sul nostro territorio. E sostenere, come alcuni in malafede fanno, che averle oltre confine, di là delle Alpi, non diminuisce il rischio è una grande bufala. Fukushima lo dimostra ancora un volta: gli incidenti nucleari creano il massimo del disastro nel territorio circostante, più si è lontani più si riducono i danni.
Siamo fortunati e avvantaggiati perché non dobbiamo sopportare i costi del decommissioning di nuove centrali e dello smaltimento di sempre nuove scorie – per quelle vecchie continuiamo a pagare: solo l’anno scorso 280 milioni di euro.- Scorie per le quali nessun paese al mondo ha trovato una soluzione definitiva. Tutto ciò si traduce anche in un vantaggio economico perché, come ammette persino il ministro Tremonti, non dobbiamo portare sulle nostre spalle il debito nucleare. Liberi di questo fardello, possiamo perciò concentrare tutti gli sforzi del paese nella rivoluzione energetica, che si è già avviata; nello sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica; nella produzione distribuita e nella ricerca e innovazione. Tutti cavalli di battaglia, nei prossimi anni, per creare nuovi posti di lavoro e costruire nuove filiere industriali capaci di competere sui mercati mondiali. Anche perché la lotta ai cambiamenti climatici obbligherà tutti i paesi sviluppati ad impegnarsi su questi terreni.


Allora perché insistere? Una volta tanto vogliamo essere lungimiranti?
Mentre nel mondo ci si interroga su come uscire dal nucleare, qualcuno ci vuole obbligare a cascarci dentro.


Il referendum del 12 e 13 giugno è una splendida occasione di democrazia, per alzare la voce nell’interesse di tutto il paese.
Mettiamoci la nostra energia, costruiamo ovunque comitati referendari, lanciamo iniziative, facciamo circolare le informazioni: per smascherare i trucchetti dei nuclearisti e far capire cosa davvero è più utile, sicuro e conveniente per gli italiani.




Votiamo Sì per fermare il nucleare.

mercoledì 1 giugno 2011

ACQUA, DONO DI DIO E BENE COMUNE: UN DIRITTO DA TUTELARE



Un diritto da tutelare


L'acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La distribuzione dell’acqua ha dei costi, ma su di essa non si può fare profitto in quanto il diritto al suo uso si fonda sulla dignità della persona umana e non su logiche economiche. L’acqua è quindi un vero bene comune, che esige una gestione comunitaria, orientata alla partecipazione di tutti e non determinata dalla logica del profitto.




Il diritto all’acqua deve dunque essere garantito anche sul piano normativo, mettendo in discussione quelle leggi che la riducono a bene economico. Sarà importante, quindi, partecipare attivamente al dibattito legato al referendum sulla gestione dell’acqua, che mira a salvaguardarla come bene comune e diritto universale, evitando che diventi una merce privata o privatizzabile, ma ripubblicizzandola mediante una forma di gestione pubblica e partecipata dei servizi idrici.





_ Diocesi Reggio Emilia-Guastalla_